Il (non così sottile) confine tra determinismo biologico e convenzione sociale
Si ritiene che la donna sia madre per natura, che il suo corpo sia fatto per procreare e che il suo ruolo all’interno di quello che viene considerato “il nucleo sociale primario” -la famiglia- e, per esteso, nella società, sia predeterminato, fisso, immutabile e, in quanto tale, indiscutibile e incontestabile.
L’attuale dibattito tra chi ritiene che la donna debba per natura ricoprire un determinato ruolo, relegato alla sfera familiare e domestica, e chi invece ne sostiene il diritto di avere accesso anche (e forse soprattutto) a tutte quelle sfere e dimensioni ritenute, tradizionalmente, maschili, è lungi dal rappresentare una “novità”.
Già nella seconda metà del diciassettesimo secolo, infatti, John Stuart Mill affronta la questione nella sua opera “La soggezione delle donne”, in cui sostiene che “Nel nome del bene della famiglia si è giustificato per secoli il ruolo esclusivamente riproduttivo della donna, come se la funzione di madre e di moglie fosse naturale, e non invece frutto di convenzioni sociali e della relazione di potere tra i sessi”(1) .
Da queste parole emergono almeno due spunti di osservazione su cui vale la pena soffermarsi:
• Ciò che definiamo col termine “natura” spesso non è altro che l’insieme di diverse pratiche che, “sedimentatesi” nel tempo, hanno dato luogo a istituti, consuetudini e convenzioni sociali che oggi assumiamo come “date”
• La natura stessa non è affatto “determinata”, “statica” e “immutabile” ma, al contrario, è caratterizzata da dinamiche e processi che la incanalano in un continuo divenire. Pertanto, il ricorso alla natura stessa per avvalorare la tesi dell’”immutabilità” dei ruoli assegnati rispettivamente alla donna e all’uomo non ha alcuna attinenza con la realtà delle cose.
Se è dunque vero che, come affermava Aristotele, l’uomo è per natura un essere sociale e come tale propenso a unirsi, interagire e riprodursi, non è detto che le forme di associazione, le dinamiche all’interno dei rapporti e le relazioni di potere in gioco nella riproduzione siano e debbano essere immutabili, dal momento in cui gli stessi processi naturali non lo sono. Anzi, le idee, il linguaggio e le consuetudini su cui si fondano le società non solo sono mutevoli, ma possono e devono essere soggette a ridefinizioni, contestazioni e ribellioni, essendo le relazioni umane e i principi su cui si fondano strettamente legati alla volontà e alla responsabilità delle persone, sia come singoli individui che nella loro dimensione collettiva.
In questo quadro si inseriscono le singole iniziative e i movimenti di ridefinizione e contestazione del proprio ruolo da parte delle donne che, in misura sempre più estesa e profonda, sentono la necessità di (ri)appropriarsi (in quanto, sebbene non riconosciuti, già insiti in loro) dei propri diritti e della propria autodeterminazione, soprattutto per quanto attiene alle scelte che riguardano il loro corpo. Tuttavia, se da un lato i tempi sembrano maturi per l’apertura di un dibattito costruttivo sul tema, in cui finalmente le dirette interessate possano auto-rappresentarsi e auto-narrarsi, dall’altro si incontra ancora molta resistenza da parte di chi sostiene la distinzione e l’immutabilità della funzione della donna e dell’uomo all’interno della famiglia e della società.
di Roberta Carbone
(1) Stuart, J. M., La soggezione della donna, John Stuart Mill, in Mill e il ruolo solo riproduttivo delle donne, Striscia rossa, https://www.strisciarossa.it/mill-e-il-ruolo-solo-riproduttivo-delle-donne/
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