violenza donneNel 1999, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite istituisce la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne.

La scelta del 25 Novembre non è stata casuale, ma fu adottata in memoria di Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, tre sorelle uccise nel 1960 dal regime del dittatore della Repubblica Dominicana Trujillo.
Le sorelle Mirabal erano donne colte che insieme ai loro mariti diedero vita al “movimento 14 giugno”, un gruppo politico di opposizione clandestina i cui membri venivano perseguitati e incarcerati. Le “Mariposas”, come si facevano chiamare le sorelle all’interno del movimento, furono catturate e incarcerate insieme ai loro mariti, per poi essere liberate a seguito di pressioni internazionali. Il 25 Novembre, mentre Patria, Minerva e Maria Teresa andavano a visitare i loro mariti nella prigione di Puerto Plata, l’auto sulla quale viaggiavano fu fermata dal Servizio di Intelligence Militare, le sorelle furono fatte scendere e, condotte in una piantagione di canna da zucchero, uccise a bastonate. In seguito, i cadaveri furono rimessi in macchina per simulare un incidente.
Anni dopo, il 25 novembre del 1980, si tenne a Bogotà il primo Incontro Femminista Internazionale, durante il quale si commemorarono le tre donne uccise a causa delle loro opinioni politiche e del loro modo di esercitare la dissidenza. Da quel primo incontro, molti altri Paesi si sono uniti nella commemorazione di questo giorno, come simbolo di denuncia dei maltrattamenti e dei soprusi fisici e psicologici a cui sono sottoposte le donne.

L’omicidio delle sorelle Mirabal, che ha portato alla caduta del regime di Trujillo nel 1962, ha innescato una serie di proteste che si inseriscono all’interno dei movimenti di liberazione e rivendicazione sociale che hanno attraversato tutti gli anni 60, e che hanno portato all’acquisizione di nuove consapevolezze e diritti sociali. Le rivendicazioni delle minoranze acquistano sempre più spazio pubblico, in un contesto in cui i singoli casi vengono portati a esempio e punto di partenza per aprire un cambiamento negli usi e costumi della società.

In Italia, fu la vicenda di Franca Viola a segnare un cambiamento decisivo nel costume e nella concezione della violenza di genere. Franca Viola era una giovane siciliana diciassettenne che nel 1965, all’età di 17 anni venne sequestrata e violentata per più giorni dall’ex fidanzato Filippo Melodia, il quale probabilmente contava anche sulla clausola del matrimonio riparatore per sposarla. Viola però, con l’appoggio della famiglia, non accettò il matrimonio e denunciò il suo aggressore per sequestro di persona. Questa presa di posizione è stata rivoluzionaria, specialmente se si considera che secondo la morale del tempo, una ragazza protagonista di una simile vicenda avrebbe dovuto sposare il suo stupratore per salvare il proprio onore e quello familiare. Nonostante i tentativi della difesa di screditare la ragazza, Melodia e i suoi complici furono condannati per sequestro di persona.

Questa vicenda ha fatto da apripista al dibattito sulla violenza di genere in Italia, costituendo il precedente su cui costruire le successive rivendicazioni dei movimenti femministi e il cambiamento di mentalità nella percezione dello stupro. Ma nonostante il dibattito aperto, bisognerà aspettare molto tempo perché le rivendicazioni delle donne sulla violenza di genere vengano sostenute da strumenti legislativi: solo nel 1981 vengono abrogati il delitto d’onore e il matrimonio riparatore, e solo nel 1996, dopo vent’anni di iter legislativo, lo stupro passa dall’essere un reato contro la morale a un reato contro la persona.

Se collochiamo questi eventi su un continuum temporale, è abbastanza evidente come si tratti di cambiamenti “giovani”, e concentrati in un periodo temporale relativamente breve, se rapportati ai secoli di storia che ci precedono. Questa finestra temporale ristretta e così vicina al tempo presente, durante la quale sono stati fatti passi avanti dal punto di vista legislativo, non è stata sufficiente a colmare i segni profondi che il sistema culturale patriarcale ha lasciato nella struttura sociale.

A sottolineare questa disparità tra la sfera sociale e giuridica sono i numeri, esorbitanti, della violenza. Solo quest’anno sono 103 le vittime di femminicidio, mentre delle 116 donne uccise nel 2020, il 92,2% è stata uccisa da una persona conosciuta e il 51,7% dal partner attuale. Numeri allarmanti, che destano ulteriore preoccupazione se rapportati ai tassi di omicidi degli ultimi dieci anni. Dal 2008 infatti il numero di omicidi è sensibilmente diminuito, ma sono gli uomini a morire di meno, mentre il numero di vittime femminili, benché sensibilmente più basso, continua a restare stabile nel tempo. Se nel 2008 il numero di vittime femminili è stato di 147, nel 2019 sono state 111, il 61,3% delle quali uccise da partner o ex partner.

Questi numeri sono indice di una società che, nonostante le tutele e le misure legislative, ha ancora molta strada davanti a sé prima di raggiungere un'effettiva parità di genere, soprattutto se consideriamo il femminicidio come la punta dell’iceberg di un sistema sociale che permette e a volte avalla altri tipi di aggressioni e microaggressioni, come il catcalling, la condivisione non consensuale di materiale sessualmente esplicito, le molestie da strada.

È dunque evidente come un ricorso alla legislazione non sia l’unica strada percorribile per il raggiungimento della parità di genere. È necessario adottare un approccio integrato introducendo strategie di diversa natura, che vadano a intervenire non solo dal punto di vista giuridico, ma anche dal punto di vista culturale.

Adottare pene più severe a carico di chi agisce violenza non è sufficiente, soprattutto se consideriamo che si tratta di misure che vengono adottate dopo che la violenza è stata agita. è indispensabile, dunque, che queste siano affiancate a misure che abbiano la capacità di prevenire le violenze, non solo di carattere giuridico, ma anche di carattere sociale come l’aumento degli sportelli di ascolto e dei centri antiviolenza, e formazione di personale specializzato.

Contestualmente, è necessario un intervento culturale, diretto a formare non solo le figure professionali che entrano in contatto con le donne vittime di violenza (forze di polizia e operatori sanitari), ma anche gli educatori, affinché acquisiscano maggiore sensibilità e competenza nel riconoscimento del problema. E soprattutto, è necessario fornire alle nuove generazioni di donne e uomini gli strumenti per riconoscere e combattere la violenza di genere, educando al rispetto, alla parità e alla libertà degli stereotipi, dannosi tanto per le donne quanto per gli uomini, inserendo percorsi formativi destinati alla sensibilizzazione, sin dalla tenera età, alla cultura del rispetto reciproco e al contrasto verso qualsiasi forma di discriminazione.

Le radici della violenza di genere sono culturali, ed è dalla cultura che bisogna partire per innescare il cambiamento. Un cambiamento che è reso possibile dall’ascolto, dalle testimonianze, dalla messa in discussione delle proprie certezze e dei propri privilegi.

 

di Erica Manta e Sara Morillon