Oggi 20 Novembre è la Giornata Internazionale per i Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza. La giornata nasce come commemorazione dell’adozione della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza dell’ONU, ratificata nel 1989. La Convenzione è stato il primo strumento di tutela internazionale a sancire i diversi tipi di diritti umani: civili, culturali, economici, politici e sociali, oltre a contenere articoli volti alla protezione contro l’abuso e lo sfruttamento dei minori.
Gli articoli della Convenzione possono essere raggruppati in base a quattro principi guida:
- principio di non discriminazione: gli stati devono assicurare i diritti sanciti a tutti i minori, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni del bambino e dei genitori
- superiore interesse del bambino: in ogni decisione, provvedimento, iniziativa di assistenza sociale, l’interesse superiore del bambino deve essere una considerazione preminente
- diritto alla vita, sopravvivenza e sviluppo: gli stati devono riconoscere il diritto alla vita del bambino e impegnarsi ad assicurarne la sopravvivenza e lo sviluppo
- ascolto delle opinioni del bambino: i bambini hanno diritto ad essere ascoltati in tutti i procedimenti che li riguardano, soprattutto in ambito legale, in relazione al livello di maturità e alla capacità di comprensione raggiunta in base all'età.
Sono passati 30 anni dalla ratifica della Convenzione, e se molti passi avanti sono stati compiuti, è ancora lunga la strada da percorrere verso un futuro privo di discriminazioni e disuguaglianze, in cui tutti i bambini siano tutelati e protetti.
È vero che, se guardiamo alla parte occidentale del mondo, la conquista dei diritti fondamentali dei bambini non è più messa in discussione. Tuttavia, affermare che i diritti fondamentali siano assicurati, non tiene in considerazione la natura del contesto in cui tali diritti vengono esercitati. Guardando indietro infatti, è evidente come siano stati realizzati notevoli progressi, ma questo non ci esime dal continuare a proteggere i diritti dei minori finora conquistati e dal combattere per acquisirne di nuovi. In altre parole, i diritti in generale, e nello specifico quelli dei bambini, non sono qualcosa di cristallizzato, ma devono essere protetti e promossi, anche in funzione del periodo storico di riferimento. Il periodo pandemico, infatti, è un perfetto esempio di come, dei diritti che sembravano definitivamente acquisiti, come quelli all’istruzione, alla socialità, all’ascolto, allo sport e al tempo libero siano stati compromessi in nome della tutela di un altro diritto inviolabile, quello alla salute.
Il distanziamento sociale, per quanto sia stato un provvedimento necessario, ha intaccato uno dei diritti fondamentali meno oggetto di discussione: il diritto alla presenza. Presenza intesa non solo come socialità e contatto, ma anche come stare accanto, essere presente. Non si tratta solo di aver dovuto rinunciare alla socialità, al contatto con i pari, allo scambio di abbracci, ma di aver dovuto privarsi di qualcosa che la didattica a distanza, le chiamate su zoom e le lezioni su classroom, per loro natura, non possono sostituire. Il confronto, il guardarsi negli occhi, il concedersi del tempo per stare insieme sono stati messi da parte, in favore di una distanza sempre più grande tra noi e gli altri, tra i nostri bambini e noi adulti. Questa distanza, complice anche lo smart working, che ha portato molte famiglie a doversi destreggiare tra il lavoro e i doveri familiari, è stata colmata da tutti i dispositivi che ci hanno permesso di combattere la noia e il senso di smarrimento. I dispositivi tecnologici, pur avendo avuto un indubbio ruolo di utilità e supporto, sono stati usati, in alcuni casi, in veri e propri delegati della presenza degli adulti. Le possibilità che la tecnologia offre, unite a una sempre maggiore assenza e incapacità degli adulti di comprendere delle dinamiche mediali di cui i giovanissimi sono padroni, permettono l’accesso a contenuti non adatti a un pubblico di minori.
Emblematico di questa tendenza, è il caso della petizione, promossa dalla Fondazione Carolina, per bloccare la diffusione in Italia di Squid Game, una serie tv che racconta violenza, alienazione e dipendenze con la semplicità dei giochi d’infanzia. La serie, pur essendo vietata ai minori di 14 anni, ha riscosso un grandissimo successo tra i più piccoli, portando la fondazione ad esprimere forti preoccupazioni per la salute psicofisica dei bambini. Pur essendo un’azione controversa, il fine ultimo dell’associazione non era tanto la censura del prodotto mediale, quanto la volontà di aprire una riflessione e portare alla luce una problematica sempre più diffusa e fin troppo ignorata. Vigilare sui prodotti mediali che i minori consumano è compito degli adulti di riferimento, ma se questi ultimi non sono in grado di comprendere le dinamiche mediali in cui i bambini si muovono e con cui sono cresciuti, e se l’unico interesse è quello di occupare il tempo dei propri figli non badando alla qualità delle attività svolte, ciò che si ottiene è che i bambini fruiscano di contenuti nocivi al loro benessere.
Quello che emerge da questa vicenda, e più in generale dal periodo storico che stiamo vivendo, è la necessità di ritornare a una dimensione più pura e intima del rapporto con i propri figli. La pandemia ci ha insegnato il valore fondamentale del contatto umano e della socialità, e tale valore è ancora più importante per i bambini, individui in formazione che hanno bisogno di una guida e di punti saldi di riferimento. È evidente come la presenza sia un diritto fondamentale per i bambini, specialmente nella società attuale, in cui ogni occasione può essere terreno fertile per la creazione di mancanze che hanno impatto sul loro benessere. Ma la presenza non è solo fisica. Presenza vuol dire essere presente, esserci, parlare con i propri figli, confrontarsi, colmare la distanza che la società di oggi, con i suoi ritmi sempre più frenetici, ci impone. Essere presenti è una condizione necessaria per crescere dei bambini liberi, consapevoli e indipendenti, che sappiano riconoscere il valore e l’unicità dei rapporti umani e coltivare l’empatia.
di Erica Manta e Sara Morillon