“È entrato arrogantemente nelle nostre vite, stravolgendole e costringendoci ad una quarantena forzata, nessuno escluso”.
Il Coronavirus ha sconvolto le vite di tutti noi, ma specialmente la quotidianità di medici e operatori sanitari, i quali sono stati catapultati in una realtà assurda e spaventosa, che ha portato a un aggravamento consistente di problematiche che, già da tempo, affliggevano il sistema sanitario italiano. Tale situazione, inimmaginabile prima d'ora, ha duramente messo alla prova le capacità di resilienza e di resistenza degli operatori. Pensiamo che coloro che hanno lavorato negli ospedali e nelle cliniche negli ultimi mesi, in un clima di paura e incertezza per i pazienti, i familiari e per la propria salute, siano maggiormente a rischio di portare con sé molto a lungo i segni indelebili di questa esperienza.
L'isolamento sociale, l’assenza di supporto organizzativo e psicologico, la precarietà dei sistemi di protezione individuale, turni estenuanti e carenza di personale, nonché il timore di contrarre il virus e di essere veicolo di contagio (a cui si sono associati anche episodi di stigma sociale) sono solo alcune delle problematiche che hanno caratterizzato la quotidianità di infermieri, medici e dello staff sanitario in questi mesi. Nei reparti Covid, dove i pazienti soffrono e si spengono soli - spesso senza poter dare l’ultimo saluto ai propri familiari – il personale sanitario è quotidianamente esposto alla sofferenza e alla mortalità, entrando in contatto con un dolore indescrivibile e, spesso, inesprimibile.
Tutto ciò espone al rischio di sviluppare una sintomatologia legata al Burnout. Una ricerca condotta dall’Università del Sacro Cuore di Milano ha rilevato che il 70% degli operatori sanitari coinvolti nell’emergenza Covid-19 sono affetti da sindrome di Burnout; ciò significa che la salute psicofisica degli operatori è stata a messa a dura prova dalla crisi sanitaria conseguente alla pandemia del nuovo coronavirus.
Ma che cosa si intende per Burnout? Il Burnout è una sindrome da esaurimento mentale, depersonalizzazione e derealizzazione personale, associata all’occupazione lavorativa. Tra le sue cause è centrale lo stress e il sovraccarico derivanti da turni lunghi e ritmi lavorativi frenetici, che trascinano il lavoratore in uno stato di “esaurimento da lavoro”. Un contesto lavorativo che richiede un forte impegno e coinvolgimento fisico e psicologico, a lungo andare può esaurire le energie, le risorse e l’entusiasmo del lavoratore. Nel corso di un’emergenza sanitaria di una portata mai vista prima, non è difficile dunque immaginare come lo stress psico-fisico possa aver impattato sugli operatori sanitari di tutto il mondo. Un’infermiera di Pronto Soccorso, che lavora in una zona particolarmente colpita in Italia, afferma in una sua testimonianza:
“Quando decidi di intraprendere un percorso di professionista sanitario sai benissimo a cosa vai incontro, ma tutto questo è andato ben oltre ogni più unica immaginazione. A turni massacranti le mie gambe ed il mio fisico erano già abituati, ma il mio cuore no…Il telefono squilla ininterrottamente, e tu non hai nemmeno il tempo di gestire il paziente, figurati di rispondere e parlare… ma rispondi perché sai che dall’altra parte c’è sempre qualcuno che, piangendo, ti implora di riferire al proprio caro che non è stato abbandonato”.
Da maggio 2019 l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha conferito al Burnout lo status di sindrome, con sintomi riconducibili a tre aree:
● Esaurimento. sensazione di esaurimento mentale e fisico
● Deterioramento emotivo: entusiasmo e passione vengono sostituiti da ansia e depressione. Diviene centrale il cinismo: la produttività e il coinvolgimento lavorativo vengono ridotti al minimo, come difesa nei confronti di un futuro incerto
● Inefficienza. Progressivo deterioramento della prestazione lavorativa con conseguente perdita di fiducia in se stessi e di un senso di efficacia personale
Tali sintomi si associano spesso anche ad una scarsa o assente stima di sé e al senso di colpa legato alla mancata produttività o efficacia lavorativa.
Ai partecipanti della ricerca svolta dall’Università Cattolica di Milano è stato chiesto di valutare il proprio livello di preoccupazione in relazione all’emergenza sanitaria e il rischio percepito di contagio. Indipendentemente dagli anni di esperienza e del ruolo professionale dell’operatore, sono emersi alti livelli di preoccupazione e di percezione del rischio di essere contagiati. Inoltre, il 93% dei partecipanti riferisce di aver sperimentato, nell’ultimo mese, almeno un sintomo di stress psico-fisico, tra cui: maggiore irritabilità rispetto al normale (65%), maggiori difficoltà nell’addormentamento (62%), incubi notturni (50%), crisi di pianto (45%) e palpitazioni (35%).
Il personale sanitario sta fronteggiando una situazione stressante e complessa, mettendo a serio rischio la propria salute sia fisica, che emotiva e psicologica, già a dura prova nella precarietà del sistema sanitario preesistente. Dal punto di vista emotivo, l’intero personale sanitario si fa carico non solo della salute fisica dei propri pazienti ma anche delle componenti emotivo-affettive, per sopperire all’assenza dei familiari:
“Le emozioni passano anche attraverso videochiamate o semplici telefonate con persone a te sconosciute e tu sei lì a piangere, insieme a loro. La sensazione più drammatica è vedere questi pazienti morire da soli mentre ti implorano di salutare figli e nipoti, perché i pazienti Covid-19 entrano soli e così rimangono, nessun accesso è ammesso, nessun parente li può assistere (...) e quando stanno per andarsene lo intuiscono, sono lucidi, è come se stessero affogando, ma con tutto il tempo per capirlo. In tutto questo tu ti sostituisci alla famiglia in toto, noi operatori vediamo i pazienti un po’ come parenti, e a fine turno hai il cuore a pezzi perché avresti voluto dedicargli più tempo e te ne vai con il dubbio di non aver fatto abbastanza, perché tu sai che spesso la situazione degenera rapidamente e non sai se li rivedrai più.”
(Testimonianza di un’infermiera del Pronto Soccorso di Urbino)
Il disagio psicologico sperimentato durante un’emergenza può causare anche problemi comportamentali gravi, tra i quali l’abuso di sostanze, sintomi d’ansia e depressione, tendenza suicidaria e violenza domestica. Questi, se non correttamente identificati e trattati, possono perdurare a lungo con conseguenze gravi sulla salute mentale di tutta la comunità. Senza dubbio, quella del Covid-19 si configura come un’emergenza globale di dimensioni significative e, per tale motivo, passibile di generare esiti potenzialmente devastanti per la salute mentale della comunità, soprattutto se non si coglie l’urgenza di predisporre interventi psicologici e psicoterapeutici adeguati.
Il prof. Vittorio Lingiardi, medico psichiatra e psicoanalista, fa riferimento alla condizione traumatica del soccorritore (secondary traumatic stress – disorder - o compassion stress/fatigue) per definire l’esperienza del personale sanitario durante questa emergenza; si tratta di una particolare forma di disagio tipica della relazione di aiuto “soccorritore-vittima”, in cui viene richiesto che le cure siano indirizzate alle vittime primarie e, solo successivamente, ai soccorritori. Su tale terreno cresce il rischio di sviluppare una condizione da stress post-traumatico.
"... un guaritore, che come espresso nelle atroci sofferenze subite da Chirone, il centauro saggio, benevolo, esperto di medicina, non solo non risulta immune dalla sofferenza, ma si dimostra un essere ferito che è entrato in contatto profondamente con la propria sofferenza. Tale ferita non solo sta nella compiutezza della vita umana ma sta anche all'origine della propria chiamata per il guaritore."
Il nostro obiettivo come associazione è quello di far sì che i ricordi di questo periodo non siano carichi di ansia, preoccupazioni e incubi; ma al contrario che sia possibile parlarne aprendo uno spazio di condivisione e di confronto che avvicini, anziché dividere e isolare, come siamo stati costretti a fare fino ad ora. Per farlo, lo staff di Arpea Onlus ha deciso di creare uno spazio rivolto a coloro a che hanno affrontato e stanno ancora affrontando l'emergenza sanitaria in prima linea in cui potranno condividere, anche in forma anonima, le proprie storie, le esperienze e le emozioni sperimentate durante l’emergenza.
Riteniamo che la condivisione e la narrazione delle esperienze in prima persona del personale sanitario, ci permetta conservare una memoria collettiva comune, perché non venga dimenticato il ruolo che hanno avuto in questo momento delicato per la salute pubblica; e affinché le necessità di coloro che oggi chiamiamo “eroi” non vengano, domani, nuovamente dimenticate, abbandonandoli al disagio e a condizioni ancora più gravi delle precedenti.
A tal proposito, chi vorrà rendere pubblico il proprio contributo potrà farlo accedendo al link “Parla con noi” https://www.arpea.it/blog di Arpea Onlus, oppure attraverso una mail dedicata – Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.- in cui la propria esperienza sarà condivisa con il nostro staff in forma privata e anonima.
di Samantha Staiola, Martina Ursitti, Irene Di Luca